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INFLAZIONE: AREASTUDI LEGACOOP-PROMETEIA, RISPARMI FAMIGLIE VERSO I CONSUMI
Settore: LEGACOOP
1 ago 2022
Il “tesoretto” di risparmio accumulato durante la pandemia dalle famiglie, specialmente in forma liquida, con un’incidenza attuale dei depositi pari al 110% del reddito disponibile, rappresenta una fondamentale “garanzia psicologica” che, assumendo un’inflazione in discesa nel corso del 2023, potrà favorire la tenuta dei consumi (la propensione al consumo rimarrà inferiore a 1) nonostante la perdita del potere di acquisto determinata da un’inflazione mai così elevata dalla metà degli anni ottanta. Un effetto benefico che, però, difficilmente coinvolgerà i lavoratori dipendenti a basso reddito, in quanto il risparmio aggiuntivo è stato accumulato prevalentemente dalle famiglie a reddito medio/alto. È quanto emerge dal report “La liquidità accumulata come riserva per fronteggiare l’inflazione?”, realizzato nell’ambito del progetto di ricerca Monitor Fase 3, frutto della collaborazione tra Area Studi Legacoop e Prometeia.
Lo studio sottolinea come, durante la pandemia, è aumentata di molto la propensione al risparmio (in parallelo con una riduzione di quella al consumo), con un quasi raddoppio dei flussi nel 2020 rispetto alle medie degli anni precedenti la pandemia (dall’8,0% del 2019, pari a 93 miliardi, si passa al 15,6%, pari a 175 miliardi) ed un livello ancora molto elevato nel 2021 (12,4%, pari a 153 miliardi). Un comportamento determinato non solo dall’impossibilità di fruire di molti beni e servizi a motivo delle chiusure, ma anche perché le famiglie, spaventate dall’eccezionalità della situazione, hanno accantonato di più a fini precauzionali, favorite anche da un supporto molto ampio della politica di bilancio a sostegno di famiglie, imprese e occupazione. Una tendenza che è proseguita anche nei primi mesi del 2022. Il contesto di incertezza e gli andamenti negativi dei mercati finanziari hanno infatti favorito un ulteriore accumulo di liquidità a scopo precauzionale (tra gennaio e maggio il flusso dei depositi si è attestato a 20 miliardi), nonostante l’inevitabile erosione del valore della ricchezza liquida con l’aumento dell’inflazione e la spinta ai consumi per tornare agli stili di vita precedenti la pandemia.
Lo studio fa rimarcare come dietro al dato aggregato si nascondano però differenze molto consistenti tra tipologie di famiglie, specialmente con riferimento alla classe di reddito. Le famiglie appartenenti ai primi decili normalmente non riescono a risparmiare e, comunque, destinano una quota maggiore del reddito a spese «obbligate» (casa, trasporti, alimentari), dove trovano poco spazio le spese per turismo e l’intrattenimento, quelle più limitate durante i due anni di pandemia.
E sono proprio queste famiglie a subire gli effetti più pesanti di un’inflazione la cui corsa, iniziata nel 2021, è proseguita fino a raggiungere l’8,0% a giugno di quest’anno (per poi flettere di un decimale, al 7,9%, nel mese di luglio) dovuta per più di metà alla componente energetica, ma in larga parte oramai anche agli alimentari e alla componente più core, ad esempio con una veloce crescita dei prezzi dei servizi legati al turismo. E mentre molte imprese riescono a scaricare a valle l’aumento dei costi, le famiglie a reddito fisso stanno sperimentando una fortissima decurtazione del loro reddito reale, se si considera che un’inflazione dell’8% per un anno intero equivarrebbe alla perdita di potere d’acquisto di una mensilità.
“I rischi sociali di questa fase convulsa sono altissimi – dichiara Mauro Lusetti, presidente di Legacoop –, già durante la pandemia dal nostro osservatorio denunciavamo come l’impatto fosse asimmetrico non solo sulle imprese, ma pure sulle famiglie: da un lato vi era chi forzatamente accumulava risparmi imprevisti, dall’altro lato chi si impoveriva ulteriormente. Ora tutti, comprese le istituzioni, stanno facendo conto sul primo aspetto per attraversare questa difficile fase. Ma occorre ricordarsi soprattutto del secondo che cela strati di popolazione che, già colpita più duramente dall’emergenza sanitaria, ora sta scontando anche una nuova emergenza economica. Dopo le revisioni dei prezzi dei mesi scorsi, ora l’aumento dei costi si sta riversando ulteriormente sui consumi. Nelle condizioni italiane occorrono politiche di protezione sociale eccezionali, perché, anche prendendo per buone le previsioni di un rientro progressivo dell’inflazione, già sappiamo che questo autunno sarà durissimo. Aggiungere a questo quadro di ansia e fragilità anche l’instabilità di una fase elettorale è stato un capolavoro di irresponsabilità della politica italiana di cui avremmo certamente voluto fare a meno”.
Lo studio evidenzia come in questa fase di shock di intensità inattesa, non si può escludere il manifestarsi di fenomeni di “illusione monetaria”, specialmente per chi non è schiacciato dal vincolo di bilancio, contribuendo a spiegare una tenuta della spesa delle famiglie superiore alle attese. Ma ovviamente tale illusione non potrà durare a lungo e il fattore tempo – fino a quando l’inflazione rimarrà così alta – è fondamentale. Purtroppo, le attuali prospettive geopolitiche non autorizzano oggi a ritenere possibile un veloce rientro dei prezzi dell’energia e, con essi, dell’inflazione complessiva. Per un po’ bisognerà fare i conti con prezzi che crescono su livelli che non si sperimentavano dalla metà degli anni 80.
Come reagiranno le famiglie? Lo studio prevede, nei prossimi trimestri, un recupero della propensione al consumo, nel tentativo delle famiglie di mantenere inalterato il proprio tenore di vita, nonostante la caduta non solo del reddito disponibile reale, ma anche del valore di mercato della propria ricchezza. Sarà fondamentale, appunto, il “tesoretto” di risparmi, anche in forma liquida, accumulato durante la pandemia: non perché verrà speso (la propensione al consumo rimarrà inferiore a 1), ma perché rappresenterà una sorta di “garanzia psicologica” per favorire la tenuta dei consumi nonostante la perdita di potere di acquisto, nell’assunto che nel corso del 2023 l’inflazione torni a scendere.
Lo studio ipotizza, infatti, che non si avvierà una rincorsa prezzi-salari, e ciò comporta che lo shock “da offerta” che si sta sperimentando in Italia (e in tutta Europa), che implica il trasferimento di reddito all’estero via bolletta energetica, sarà pagato in misura importante dai lavoratori dipendenti, in particolare da quelli a basso reddito, su cui questa inflazione concentrata su energia ed alimentari sta esercitando gli effetti maggiori. È dunque importante che le misure fiscali volte a contrastare tale inflazione, in un contesto di risorse limitate, siano mirate alle fasce più povere della popolazione e non distribuite a pioggia.